lunedì 22 febbraio 2010

migranti 5.

Università di Gherro. Facoltà di antropologia. Restauro di pellicola cinematografica del 2057, rinvenuta nei magazzini degli studi Mondial di Legaend.

“Salgono sulla barca mentre comincia ad albeggiare. In fila sulla banchina, fradici, sotto la pioggia. Un bambino, occhi spauriti, si guarda intorno, come se cercasse qualche volto conosciuto. Tira la mano di sua madre e le bisbiglia all’orecchio.
- Non c’è nessuno di quelli che hanno viaggiato con noi attraverso il deserto?
- No, non c’è nessuno, Said.
- Siamo comunque tanti mamma. Ho paura. Sono quelle enormi corde che tengono a galla la barca?
- No Said, servono solo a tener ferma la barca. Così possiamo salirci sopra.
- C’è qualcuno che tira in fondo alle corde?
- No di certo, sciocco. C’è un una specie di uncino di ferro che si chiama ancora.
- Serve per pescare pesci?
- Non esistono pesci così grossi, non in questo mare.

Il bambino la guarda perplesso, per nulla convinto dalle sue spiegazioni.
Salgono e riempiono ogni spazio, come sabbia dentro una bottiglia.
Il motore si avvia e lo scafo comincia a vibrare. L’uomo alla guida fa un cenno al marinaio a terra. Lentamente la barca si allontana dal molo dirigendosi verso l’imboccatura del porto. I raggi del sole bucano le nubi e strisciano sull’acqua catturando i loro sguardi. Come chicchi di girasole si voltano verso la luce.

giovedì 18 febbraio 2010

migranti 4.

Estratto dal disco primitivo di un rudimentale sistema informatico disseppellito nello scavo della nuova metropolitana di Xiang Chei, enclave cinese nel cuore degli stati federali d’Europa. Il frammento appare miracolosamente integro e apre nuovi interrogativi sui flussi migratori che si verificarono in quei territori agli inizi del terzo millennio.

“Viaggiavano nel deserto del Teneré da tre giorni e l’acqua cominciava a scarseggiare. Ogni tanto si fermavano per bere e i due Tuareg armati che precedevano il camion nel loro fuoristrada climatizzato la attingevano da due dei fusti e la distribuivano. Quando quelli nel cassone videro che non ce n’era quasi più uno dei più ardimentosi scoperchiò uno dei fusti di benzina e i Tuareg lo buttarono di sotto e lo lasciarono lì a morire. All’inizio Said sperò che gli sparassero. Sapeva che un proiettile in fronte è mille volte meglio di morire di sete in mezzo al deserto. Il sole ti scioglie la carne e la decompone quando è ancora attaccata alle ossa. Il cervello ti frigge e ti fonde gli occhi. E vorresti essere un mai nato, un sasso o una manciata di sabbia rovente. Sentì le sue urla mentre si allontanavano. Poi sperò che fosse uno di quelli che avevano riso intorno al fuoco, la prima notte, quando sua madre si era allontanata. Si sentì meglio e si addormentò.
La sua testa rimbalzava contro il finestrino, allora apriva gli occhi ma non si svegliava. L’odore di sua madre bastava a renderlo tranquillo e a narcotizzare la sua mente. Ogni tanto sognava il mare , sentiva l’acqua impattare violentemente contro il suo corpo e adattarsi alla sua forma. Un enorme distesa d’acqua che non si poteva bere. Fatta di dune liquide da solcare per raggiungere altre terre. “Piene di tutto quello che qui non c’è”, diceva sua madre. “Dobbiamo andare là, figliolo. Qui non c’è più niente a trattenerci. E anche se ci fosse voglio che tu veda più che la sabbia e il sangue. Macchine veloci e case altissime con letti morbidi. E posti con tanto cibo da scoppiare. E animali da viverci insieme che non si devono mangiare. E scatole piene di vita, che parlano”. Lui aveva visto la televisione alla stazione degli autobus di Agadez e voleva passarci dentro per andare dove c’era tutto. C’era da mangiare e nessuno ti avrebbe tagliato la testa. C’erano scuole e avrebbe potuto iniziare una nuova vita, di là dal mare, dove c’era la felicità”



Immagine da : come-uomo-sulla-terra-documentario-libia.html




martedì 16 febbraio 2010

migranti 3.

Testo trasmesso in forma orale di una canzone risalente agli ultimi
anni del terzo millennio, cantata spesso nelle feste dei clandestini rifugiati nella vecchia Europa.
Sono attribuiti ad essa vari titoli: camion/insetto, sogno, nave rovente.
Comunemente conosciuta come “la ballata di Said”.


La sua carezza spenge le stelle
e lo guida dentro le sue paure.

La salvezza è chiusa nel palmo
della mano che attraversa.

Il rumore lo raggiunge da molto lontano
e nel sogno sente i leoni correre verso di lui.

Hanno occhi scintillanti e ruggiscono
cavalcati dai ginn, gli spiriti del deserto.


Poi si alzano in piedi
mutandosi in uomini magri e affamati
con denti aguzzi al posto delle ciglia.

I machete sprizzano sangue nell’aria,
nella terra che rimbomba sotto i loro passi,
e nelle parti più lontane del suo corpo.

Si sveglia in una nuvola di sabbia
che gli invade la vista ed i polmoni.

Il motore si spenge in un lamento roco
che scivola via dalla sua pelle metallica
e dirada l’oscurità. E’ un camion.

Cinto di fusti scrostati,
troppo grasso per spiccare il volo,
accerchiato dai pellegrini.

Vogliono un passaggio per la libertà,
il biglietto vincente della lotteria.
Hanno pagato molto, ma non abbastanza.

Trascinano la loro vita
verso le sue zampe gommose.
Hanno pagato molto, ma non abbastanza.

Lottano per salire,
vogliono il loro passaggio per la libertà,
ma non c’è posto per tutti.


Tira la sua veste e svegliala,
non è il momento delle carezze,
o sarà troppo tardi quando sarete pronti.

La salvezza è chiusa nel palmo
della mano che attraversa.

La sua carezza spenge le stelle
e guida attraverso la notte.

lunedì 15 febbraio 2010

migranti 2.

Anno 612 dopo la luce.
Sito di Sandzhum, Terre aride.
Diario del professore Xiang Chiau.
Reperto 1756j. Supporto cartaceo con scrittura primitiva. Alcune parole sono illeggibili e sono identificate con xxxx. Si è comunque riportato le lettere leggibili all’interno delle parole non comprensibili.
Stiamo cercando di capire il contesto. Probabilmente un usanza tribale dell’inizio del terzo millennio.
“Said sente gli occhi xxxxx. Un tuareg(1) seduto…su ..osso pneuxxxxx scolpito, affondato nella sabbia, vigila sul gruppo che bivacca…………. Guarda la sua testa axxxxxxdare il percorso degli occhi, tradito dal cerchio rosso di una sigaxxxxx che si sposta su di esso. Aspettano il camion(2). La nave con cui avrebbero attraversato il xxxerto. Erano arrivati da Agadez in ………, sballottati su sedili logori gonfi di rumori e xxxxxx. Sua madre …………………. di non abituarsi a quelle comodità, perché dopo, sul camion, sarebbe stato molto xxxxxx. Lui non riusciva ad immaginarsi un posto peggiore di quello. Ma le aveva creduto. Sapeva che lei aveva già percorso quella via e che non gli mentiva xxx.
L’uomo ………………… un’altra di quelle puzzolenti sigaxxxxx. Abbassa il turbante(3) che xxx nasconde il xxxxx, se la ficca in xxcca e l’accende. Quando erano arrivati, al tramonto, gli ……………. davanti e lui era rimasto lì, a bocca aperta, a fissare gli stivali neri da xxxxxxxxsta. Adesso il kalashnikov(4)attaccato alla cinghia, come un xxxccio artificiale(5) spento, ……… sotto la luna. Aveva preso quasi tutti i loro soldi, ed anche …………….. L’aveva visto discutere xxxxx con sua madre, prima. E indicare più di una volta con la canna dxx xxxxx verso di lui. Lei ogni volta aveva scosso la testa e aveva………………. mostrandogli il suo corpo. Sua madre xxxx bella. Non aveva mai visto una donna più bella(6). Poi lei …………. affidato Jasmin e gli aveva chiesto di …………….. Si erano allontanati un po’, oltre la duxx, seguiti dal borbottio schifoso……………………… era tappato gli orecchi per non sentire. Aveva seguito le loro xxxx con sua sorella in bxxxxxx. L’aveva adagiata sulla sabbia …………. strisciato nell’oscurità fino al ciglio della duxx. Sua madre si era xxxxxxxchiata posando la testa a terra. Lui …………….. penzolare il kalashnikov che lo xxpacciava sulla sua schiena. Aveva xxxxx il mitra(7) sbatacchiare ………………….., agitato …………….. dei suoi fianchi, e aveva pregato(8) perché non partixxe una rxxxxxx. Quando ………. sentito il grugnito(9) dell’uomo exx txxnxxo ……….. passi, aveva afferrato sua sorella …………………, ed era corso verso i fuochi dell’xxxxxxmento sballxxxxxxla come ……bambola(10) di pexxx.

(1)Tuareg, popolazione nomade del nord Africa.

(2)Camion, mezzo di trasporto primitivo munito di ruote spinto da motori a petrolio (combustibile fossile esaurito agli inizi del terzo millennio).

(3)Turbante, forma arcaica del verbo turbare, forse intesa nel senso di colui che turba, che disturba.

(4)Kalashnikov, antica arma usata da dalle popolazioni indigene dell’Africa occidentale priva di una reale efficacia ma molto utile per l’intimidazione dell’avversario in quanto significante potenza.

(5)Artificiale, nel significato odierno sinonimo di reale. Parola spesso usata in contrapposizione di naturale anche se ad oggi sfugge il nesso.

(6)Sembra alludere ad una differenziazione fra l’aspetto esteriore dei singoli individui, tipico delle società primitive.

(7)Copricapo proprio dello sciamano all’interno della tribù. Simbolo di potere.

(8)Pregare. Affidare se stessi ad un altro affinché realizzi i propri desideri.

(9)Verso degli animali*, cioè di coloro dotati di anima. Forse sinonimo di preghiera.

(10) Bambola, raffigurazione di se stessi da parte dei primitivi. Se ne ignora la
motivazione.



Kalašnikov è il nome con cui ci si riferisce alla maggior parte delle armi ideate da Michail Timofeevič Kalašnikov (fonte wilkipedia )

domenica 14 febbraio 2010

migranti 1.

NG Aprile 2008.

“Said guarda fra le stelle e segue le linee tracciate fra i punti lucenti.
Granelli luminosi di sabbia che il sole ha incendiato e fatto volare lontano, sulla sua testa. Gli hanno parlato di palle di fuoco lontane, forse già spente anche se la loro luce è ancora inspiegabilmente visibile. Fantasmi. Ripensa alla missione. Al pranzo della domenica. Il suo stomaco borbotta dentro le luci ovattate.
Galleggiano nell’aria e solo il suo sonno può ricondurle a terra.
Non vuole dormire. Può guardare le stelle per ore aspettando che la ragnatela di linee vada in frantumi. La mappa dove si è nascosto e che osserva dal di dentro. Di notte fa cadere qualcosa in ogni spicchio di cielo. Tra i fantasmi, convinto che i suoi segreti tengano viva la luce.
L’aria è gelata. Il deserto silenzioso e ostile. Si impronta nel corpo caldo di sua madre, come se volesse tornare dentro di lei. Sua sorella borbotta nel sonno, avvolta nel marsupio di stoffa. La guarda con invidia. Ha la bocca impiastricciata di latte e l’espressione beata di chi si è sfamato.
Qualcuno canta in hausa, la lingua della sua terra. Tende l’orecchio verso le parole. Conosce quella canzone, anche se non capisce tutto. Nyame, il creatore, piange lacrime dolci sulla terra. Laghi, fiumi e anche il mare nascono dal suo dolore. Adu Ogynae, il primo uomo, corre cercando le lacrime perché solo esse possono indicargli la via. Quando avevano lasciato la loro casa, sei giorni prima ma gli sembrano solo pochi minuti, anche lui aveva pensato che dovevano trovare la via. Il modo di dimenticare tutto quel sangue e la paura di scomparire. Non voleva svegliarsi senza un braccio o la testa o con la gola tagliata. Erano passati di casa in casa ed avevano massacrato tutti. Anche gli animali. Non si erano portati via neanche quelli. La piaga del suo piede li aveva risparmiati. La mamma aveva voluto portarlo per forza alla missione, dal dottore, ed adesso guarda con gratitudine la benda che gli serra la caviglia. Pensa che non la toglierà mai, anche se avevano dovuto tenerlo fermo in tre per stringerla bene. Erano tornati al villaggio senza parlarsi, lui chiuso nel suo risentimento, lei nella sua preoccupazione. Poi il silenzio aveva ingoiato tutto sigillando le loro bocche piene di sabbia, gli occhi spalancati che si rifiutavano di trasmettere le immagini al cervello. Se ne erano andati subito, barcollando fra i corpi che cominciavano a puzzare. Poche cose chiuse dentro una sacca di tela. Aveva chiesto a sua madre perché il loro bue era così magro, ora che era morto. E lei aveva risposto che non aveva più sangue. Che se l’erano bevuto tutto”.