giovedì 31 dicembre 2015

Gli uomini del circo

Esco. Cammino e fa freddo e fumo. Niente che sia come mi aspettavo. Poi una donna, la solita, mi sbuca dall’angolo della strada proprio prima che il marciapiede finisca. Non è che finisce, diventa altro. La donna mi dice: Puttana! Cosa hai da guardare? Perché venite a cercare gli uomini al Circo? Allora capisco che non dice a me e neppure a mio figlio ma ad un gruppo di signore che camminano dall’altro lato della strada. E mentre lo dice si avventa verso di loro e le fa scappare come le galline petto in fuori e testa incassata. Alcune si rimpiattano dietro di noi, altre si infilano fra le macchine in sosta e nella notte. Una risoluta impugna il cellulare e cerca aiuto. Ma quella allora la incalza e puttana a chi telefoni puttana. Io guardo le signore e mio figlio e dico: scappiamo. Corriamo sul ponte verso la porta, verso la piazza. Altri ci guardano incuriositi e le donne si girano sotto le ali a guardare se quella ci sta inseguendo. Poi mi chiedo perché dobbiamo scappare, da chi e da che cosa? Le donne mi dicono: è aggressiva, ci ha attaccato senza motivo, perché? Dobbiamo andare all’ostello e per farlo dobbiamo passare da quella strada. Non c’è altra via. Mentre parliamo sentiamo lo scalpiccio dei passi avvicinarsi e il ponte e la notte rimbombano di urla. Allora facciamo altri venti metri dentro la piazza ma quella non appare, non sbuca dalla porta, come se si fosse nascosta subito dietro, dietro il muro. Allora mio figlio vuole tornare indietro. Vuole tornare a casa. Dice alle signore riunite intorno a quella con il cellulare: noi andiamo a casa. Se volete potete fare un pezzo di strada con noi, e si avvia deciso verso la porta. Le donne mi guardano con fare interrogativo, quasi aspettassero il mio consenso. Ci incamminiamo dietro di lui. Ha già oltrepassato la porta e va deciso. Dietro il muro non c’è nessuno. La polizia non si vede e il fiume è fermo.

venerdì 25 dicembre 2015

Pranzo di Natale

Sopravvivere. Alla tovaglia arrogante ed al servito buono. Alle posate ossidate e ai tovaglioli cartonati. E ai suoi occhi. Questo era il punto più difficile del programma. Se ne era reso conto fin dalla sera prima quando, durante la veglia natalizia , la sua mente aveva provato a ricostruire il pranzo del giorno dopo. Dopo tutta una serie di antipasti e un succedersi martellante di primi e secondi i suoi buoni propositi capitolavano quando lei gli chiedeva quanto zucchero voleva nel caffè. E nel chiederglielo lo guardava inevitabilmente negli occhi. E lui ci cascava dentro. Durante tutto il pranzo, dopo essersi seduto all’altro capo della tavola ,fra lo zio Alfio e la nonna, aveva evitato accuratamente di guardare nella sua direzione, ma come un centravanti di razza sa sempre dove è la porta anche quando le volge le spalle, lui non avrebbe avuto problemi a specificare le coordinate spaziali che il corpo di lei occupava in ogni istante. E a riconoscere quel suo particolare profumo in mezzo alle vampate delle lasagne e agli assalti dello stinco in forno. Di fronte a lui Giampiero, il figlio quindicenne di suo fratello, continuava a chiedergli senza pietà delle percentuali scudetto della Fiorentina e lui in quel momento, mentre in qualche modo la sua pelle cercava di captare i riflessi luminosi che arrivavano da un sorriso lontano, si pentiva della maglia Viola che gli aveva comprato. E quasi l’avrebbe cambiata con una della Juventus. Sapeva bene che quel sorriso arrivava da dentro di lui. Era il materializzarsi dei suoi desideri e, mentre mangiava, si aspettava che gli altri commensali lo guardassero con sospetto, tanto era evidente al suo cuore il suo sentire. Solo l’attrazione è verità, tutto il resto è finzione, si ripeteva come un mantra mentre la nonna lo tirava per la giacca perché gli aveva già chiesto tre volte l’acqua ma lui non c’era, non era connesso con il resto dell’umanità. Tanto che si concesse di girare la testa verso di lei, sperando di incontrarne gli occhi. Lei lo guardò, per un attimo, lui si riflesse in lei e si vide, come un podista si intravede nelle vetrine dei negozi accesi la sera, poco prima della chiusura, mentre il cuore ti martella e sai che la tua corsa non finirà mai, perché l’unica cosa di cui ti importa davvero alla fine è soltanto correre. Chiuse gli occhi per un tempo che a lui parve brevissimo ma quando gli riaprì si accorse che la tavola era sparecchiata e non c’era più nessuno. Solo la tazzina del caffè fumante e la zuccheriera erano davanti al suo posto. Quasi lo stessero aspettando.