Esco. Cammino e fa freddo e fumo. Niente che sia come mi aspettavo.
Poi una donna, la solita, mi sbuca dall’angolo della strada proprio prima che il marciapiede finisca. Non è che finisce, diventa altro.
La donna mi dice: Puttana! Cosa hai da guardare? Perché venite a cercare gli uomini al Circo?
Allora capisco che non dice a me e neppure a mio figlio ma ad un gruppo di signore che camminano dall’altro lato della strada. E mentre lo dice si avventa verso di loro e le fa scappare come le galline petto in fuori e testa incassata. Alcune si rimpiattano dietro di noi, altre si infilano fra le macchine in sosta e nella notte. Una risoluta impugna il cellulare e cerca aiuto. Ma quella allora la incalza e puttana a chi telefoni puttana.
Io guardo le signore e mio figlio e dico: scappiamo. Corriamo sul ponte verso la porta, verso la piazza. Altri ci guardano incuriositi e le donne si girano sotto le ali a guardare se quella ci sta inseguendo. Poi mi chiedo perché dobbiamo scappare, da chi e da che cosa? Le donne mi dicono: è aggressiva, ci ha attaccato senza motivo, perché? Dobbiamo andare all’ostello e per farlo dobbiamo passare da quella strada. Non c’è altra via. Mentre parliamo sentiamo lo scalpiccio dei passi avvicinarsi e il ponte e la notte rimbombano di urla. Allora facciamo altri venti metri dentro la piazza ma quella non appare, non sbuca dalla porta, come se si fosse nascosta subito dietro, dietro il muro.
Allora mio figlio vuole tornare indietro. Vuole tornare a casa. Dice alle signore riunite intorno a quella con il cellulare: noi andiamo a casa. Se volete potete fare un pezzo di strada con noi, e si avvia deciso verso la porta. Le donne mi guardano con fare interrogativo, quasi aspettassero il mio consenso. Ci incamminiamo dietro di lui. Ha già oltrepassato la porta e va deciso. Dietro il muro non c’è nessuno. La polizia non si vede e il fiume è fermo.
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