domenica 3 luglio 2011

Reality

Sbadigliò e anche la pianura verso il mare rabbrividì strisciata dal sole. La crosta del suo panino e quella degli alberi , delle querce che aveva scalato da piccolo nel boschetto dietro la casa di Silvia, diventò un po' più dura. Si strusciò i ginocchi con la manica della giacca di lana a quadri. Parte dell'eredità. La spartizione dei vestiti era stato uno dei momenti più divertenti. Anche se la giacca che preferiva era finita sotto un buon metro di terra e suo fratello si era sforzato di infilarsi in un cappotto che gli sarebbe stato stretto già dieci anni prima. Per quel cappotto avrebbe dato in cambio con entusiasmo quell'orologio lucido e pesante. Quello che era stato affidato al suo polso dalla espressa volontà di suo padre. Aveva il vetro del quadrante graffiato e non si leggeva la data. Sembrava pendere dal suo polso ossuto come una pallina di Natale difettosa.Si guardò riflesso nei vetri del gabbiotto e pensò che la tenuta da fantino gli era corta di maniche. Ed era un vero peccato perché ci stava maledettamente bene. C'era qualcosa di perverso in quel senso di soddisfazione, in quel profumo familiare che lo faceva star bene e allo stesso tempo lo soffocava “Non metterti mai nella condizione di avere bisogno di qualcuno o di qualcosa”. I ginocchi gli bruciavano e gli sembrò di sentire l'odore acre della resina che aveva tolto con l'acqua ragia. E Silvia che rideva della sua andatura da scimmia mentre riguadagnavano il fresco del portico davanti a casa. Aveva fatto una corona di margherite e gli sorrideva perché lui aveva inciso le loro iniziali nella corteccia della quercia grande. Anche le loro iniziali si rimpicciolirono un po' mentre il vento fischiava tra gli alberi. Pensò che a un certo momento della vita tutto comincia a rimpicciolirsi. Si finisce per perdersi in pochi metri quadrati. Bisogna attaccarsi ai braccioli delle sedie per non cascarci dentro. Fare affidamento sulla percezione quotidiana di pochi familiari oggetti che ci portiamo dietro da una vita e che tengono la nave, o quel che ne rimane, ferma ben ormeggiata al pontile. La tavoletta del cesso, lo spazzolino elettrico sempre attaccato alla presa della corrente, come per non farlo spegnere e dove spegnere sta per morire. La tazza per il caffè latte comprata a Barcellona. Quella poltrona verde graffiata dal gatto. Il gatto steso sul copri termosifone del tinello. Anche quello acceso giorno e notte, come fosse il respiro inevitabile della casa.
Il pony con le pizze al caldo nella sua cassetta di stagnola abbordò la curva dietro all'area di sosta. Dal suo gabbiotto appollaiato all'ingresso dell'autostrada lo vide lasciare lo scooter a borbottare sul cavalletto mentre si avviava a fare la sua consegna senza togliersi il casco. Una macchina accostò per il pagamento del pedaggio. Le impiegate dell'ufficio lo conoscevano per nome e lui sapeva a chi consegnare la quattro stagioni, le due margherite e la capricciosa che teneva impilate nelle loro scatole. Cercò di ricordare come si chiamava, anche se a lui non aveva mai consegnato un bel niente. Lui non aveva tette sode da tenere in mostra mentre allungava distrattamente mani sapienti verso le scatole chiuse su carciofi anemici e olive aride e screpolate. Di sicuro se l'era scopate tutte e quattro. Magari non tutte insieme ma non ci avrebbe scommesso. Alberto. Il pizza express si chiamava Alberto. Guardò la ruota dentata dello scooter continuare a girare e il criceto da monta sparire dentro l'acquario di cristallo che proteggeva le quattro sirene. “Non metterti mai nella condizione di avere bisogno di qualcuno o di qualcosa”. In realtà aveva appetiti da diciottenne imprigionati in un corpo da cinquantenne. E comunque quella sfasatura temporale di una trentina d'anni lo accompagnava da sempre. Molto probabilmente se ne era accorto anche suo padre e adesso gli era improvvisamente chiara la ragione di quelle raccomandazioni. Lui era nato con il bisogno organico di qualcuno o di qualcosa.
Ed era anche sempre stato convinto che non ci fosse niente di sbagliato in quell'atteggiamento. Erano i suoi bisogni che lo tenevano in vita. Anche se erano di un genere che il suo vecchio non si sarebbe mai immaginato.

venerdì 25 febbraio 2011

dentro di me

il tuo pianto
è l'ombra più difficile.

il tuo corpo
è l'impronta dei miei desideri.

il tuo volto
è lo sbaglio che cerco.

la tua vita
è ciò che non sopporto.