giovedì 10 dicembre 2009

commiato

Percepì all'inizio un brusio, l'uscire di un animale selvatico dalla tana. Una solco improvviso nella sua mente bianca, resettata dal sonno notturno. Lieve e irregolare sulla superficie densa, come tracciato da un ragno. Il sogno soffocava silenzioso dietro i suoi occhi. La piccola imbarcazione cercava di restare a galla. La spuma bianca la avvolgeva ancora, ma senza odio. Senza la determinazione che è propria dell'odio e che si rende spesso necessaria per portare a compimento gli eventi. Si accese una sigaretta, anche se era troppo presto per fumare. Vide la Cocchina con l'albero tagliato a un metro dal ponte. Entrava nel porto di Calvì dopo la tempesta. Una mano sul timone e l'altra stretta alla sua, calda. Poi, in albergo, avevano fatto all'amore, e si era chiesto se si sarebbe mai più sentito vivo a quel modo. Aspirò il fumo e si ricordò come bruciava in gola. La sua mano scivolò sulla faccia sudata. Tossì come un drago. Ci sono parole per definire ciò che non esiste. Anche lui non esiste. Non più. Non è il cancro, anche se sta pasteggiando con il suo corpo. No. Non sente più nulla. Niente che lo tenga in vita. Dopo lunga malattia. Non c'è niente di più appropriato. Aspirò ancora. Il mozzicone gli bruciò fra le dita gialle. Schiacciò la finta sigaretta sul lenzuolo aggiungendo una nuova cicatrice al tessuto indifeso. Aprì a caso il diario delle parole non dette.
12 Aprile
“Guarda come è buffa quella nuvola! Sembra un cammello rovesciato sul dorso.....e un topo, un grosso topo con la coda che insegue un gatto”. Ricordò il giorno che l'aveva pensato e le parole non gli erano venute fuori. Aveva guardato il cielo e poi si era voltato verso di lei. Aveva aperto la bocca per cominciare il discorso, e poi si era girato dall'altra parte. Lei indossava un vestito stretto sui fianchi e si era accarezzata il volto con il dorso della mano. Lui aveva sentito gli occhi luccicare e gli aveva chiusi stretti dentro la testa. Fece frusciare le pagine e ascoltò il rumore che facevano. Poi lo aprì ancora.
12 Settembre
“Il vento ha portato le stelle ed il profumo del mare. Il ricordo di quello che non ho conosciuto. Si può avere nostalgia dei fantasmi?”
Al tavolo del ristorante, scorrendo la carta dei vini francesi troppo costosi, mentre parlavi del film. Un cameriere impettito ci scrutava curioso e tendeva l'orecchio. Alla mia ordinazione? Al mio pessimo francese? Alle parole che si dovevano dire e che erano comunque presenti, deluse, sopra le nostre teste?
10 Febbraio
“Vorrei cambiare buona parte della mia vita. Indossare un costume più semplice. Con meno strati da tenere insieme”. Alla festa di carnevale della scuola di Anna. Soffocato dai saluti di circostanza agli altri genitori.
“Vieni, andiamo a casa, voglio fare l'amore con te”. Ancora alla festa, combinando una partita a bridge per la sera dopo e ti eri sporcata il vestito a fiori di aranciata svanita.
L'infermiera entrò decisa senza bussare. In una mano la tazza del caffè. L'altra a fendere l'aria zeppa di un fumo inesistente. Senza guardarlo appoggiò la tazza sulla scrivania, si voltò e attraversò la stanza in direzione della finestra. Il suo sguardo le accarezzò il fondo schiena. Era duro e liscio, lo sapeva. Dio se lo sapeva. Issò il rotolante e spalancò la finestra. La camera fu invasa dalla luce.
Abbracciò il diario stretto sotto il lenzuolo, serrandolo al petto, tanto che, più tardi, fu assai difficile allontanarlo dal suo cuore.

Staccò il ferro e sentì la voce dell'infermiera che la chiamava. Seppe subito che era morto. Rimise la spina nella presa della corrente, come se quel semplice gesto potesse cambiare l'ordine delle cose. Corse giù per le scale. Si vide bambina, nascondersi sotto le mucche quando gli americani bombardavano il ponte in fondo alla valle e lei non aveva fatto in tempo a nascondersi insieme agli altri, il quel rifugio buio che non le piaceva. Erano calde, le mucche, con quegli occhi grandi che dicevano: stai tranquilla, qui non può succederti niente. Poi più grande, a sciare dopo che aveva avuto il tifo e non si era mossa dal letto per quaranta giorni. Suo padre che le faceva una foto e lei in posa, bardata in quell'improbabile tenuta da sci, con i pantaloni che scomparivano negli scarponi di cuoio e la testa fasciata di capelli lunghi. Insieme a lui che le era comparso accanto, all'improvviso. E la foto era venuta anche bene, con loro che sorridevano senza guardarsi, come se si fossero conosciuti da sempre. Corse più forte. Erano in Lambretta, sotto la pioggia, lei con le gambe tutte e due dalla stessa parte nella gonna spessa e lui che faceva il matto, solo per farsi stringere più forte. Adesso facevano all'amore, a Genova, in quella camera enorme davanti al mare, la sera che si erano detti di si. Poi lo vide, bianco, che le diceva di spingere e lei avrebbe voluto morderlo, e aveva chiesto una sedia all'ostetrica per farlo sedere mentre lui le stringeva la mano forte, anche se lei non voleva scappare. Riprese fiato sul pianerottolo. Lo sentì ridere in quel prato, in campagna, le bambine a rincorrersi fra le spighe più alte di loro. C'era il sole e i vestiti davano così noia alla loro pelle che si cercava. Entrò nella stanza, guardò la finestra spalancata e immaginò che fosse passato di là.

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