Giulio esce di casa. Sciarpa e cappello limitano il suo campo visivo: il vialetto sporco di neve, le macchie d'erba grigia, i rami secchi dei platani a frustare l'aria. Il rettangolo si allunga schiacciato fra la siepe di bosso e la parete bianca. Poi il suo sguardo converge verso la macchina che dorme nel vialetto, i vetri spessi di ghiaccio. Il gatto gli schizza fra le gambe. Vede la nuvola buffa del suo alito mentre salta da una pietra all'altra. Estrae la pistola e la allinea sulla sua parabola. Lo tiene nel mirino. A dieci passi di distanza il gatto si volta e lo fissa. Giulio è immobile sugli scalini di casa. Le gambe leggermente piegate. La schiena dritta. Le braccia tese all'altezza delle spalle. Le mani contratte sull'arma. Controlla il respiro. Allenta la pressione sul calcio. Il pallino rosso posizionato fra gli occhi gialli. Tira il grilletto. Il proiettile scivola dalla canna e percorre la distanza che lo separa dall'obiettivo. Lentamente. Fotogramma per fotogramma. Il felino piega le zampe. Si inchina. Si volta e scompare nella siepe. Sa che esploderà. Lo vede sparpagliato sul prato dei vicini. Le loro facce disgustate. Rinfodera i visori. Rotola fino allo sportello. L'auto è al suo fianco. Disegna una branchia sulla carrozzeria. Brina sotto la punta del dito. Sei il mio squalo. Gli accarezza la pelle e sfiora la maniglia cromata. Sa che è inutile tentare di usarla. Lo sportello scivola su se stesso. Si arrampica. Lo zaino lo sbilancia all'indietro. Penetra nel suo stomaco. Si leva le bombole e la maschera. Adesso può respirare. Il suo cuore pompa onde di calore. Ha la pancia piena. Suo padre si infila al posto di guida. Tutte le luci del cruscotto lampeggiano. Lo squalo si rianima. La vita fluisce dentro i suoi complicati circuiti. Riflessi di sogni notturni. Le otarie gli sono sfuggite ancora.
Gianni tira giù le coperte. Le spinge via con i piedi. Scuote il termometro. Lo infila sotto l'ascella di Teddy. Teme di averlo infettato. Il cavo della Play striscia attraverso la stanza, risale la zampa del letto e sparisce sotto il cuscino, dentro la sua testa. Teddy soffoca. Gli strizza il braccio peloso contro il termometro. Si stufa e lo vola nella cesta dei giochi. Il cavo scende lungo il suo braccio, fino alla mano. La mano afferra il game-pad. Accoppalitutti si espande dentro di lui. Sente che il record è vicino. La sbandata. Deve solo imparare a controllarla meglio. Di traverso farà molti più danni. Non riusciranno ad evitarlo. Schiaccia a fondo l'acceleratore. Le gomme fumano. E' sui cerchi ma la tenuta resta buona. Capisce che stanno solo provando a confonderlo. Centra un'ambulanza e incamera i primi cinquecento punti. La ragazza bionda con le trecce si butta di lato e lo schiva. Spinge un taxi nella vetrata del centro commerciale. Le persone al banco saltano come birilli. Duemila punti. Salta sul ponte e atterra sullo scuolabus. Raccoglie solo cinquecento punti e realizza che era vuoto, a parte l'autista. Rade al suolo il chiosco dei fiori davanti alla scuola. Niente da fare con gli spacciatori.
Giulio allunga le gambe. La macchina si infila nel traffico. Suo padre è già collegato in viva voce con l'ufficio. Immagina che queste voci muoiano con facilità. La segretaria elenca orari e persone. Suo padre ci fa sesso nudo. Le segretarie hanno un taglio fra le gambe dove si infila il pisello. Ha sentito sua madre che urlava la scorsa notte. Suo padre non riesce a tenere addosso i pantaloni. Vorrebbe aiutarlo. Non vuole un padre senza i pantaloni. Questa storia lo incuriosisce. Il pisello dello donne è diverso. Controlla l'espressione di suo padre nello specchietto. La bocca stretta. Gli occhi spenti. Raffiche di parole si abbattono sulla sua faccia. Scivolano via. Non può fare a meno di dare una sbirciatina alle sue gambe. Gli chiede di Tiger. Qual'è l'ultima gara che ha vinto? Non gli risponde. Le parole lo lambiscono modellando il suo viso. Le vede impigliate nella barba di tre giorni. Incastrate nell'angolo della bocca. Aggrappate alle sue basette bianche. Gli picchia sulla spalla. Qual'è l'ultima gara che ha vinto? Sussulta. Si attacca al clacson. Intorno parte una bordata di risposte isteriche. Grappoli parole si staccano dalla sua faccia, scoppiano come bolle di sapone. Ne vede altre prendere il loro posto, rivestire il suo volto, disegnare il vuoto.
Rinuncia. Fruga nello zaino e tira fuori il game-pad. Lo schermo incastonato sul retro del poggiatesta si illumina e appare la schermata di benvenuto di Accoppalitutti. Start, select, play. Rotea le dita nell'aria per riscaldarle. L'autobus è imponente. Si mette alla guida e comincia ad asfaltare passanti e venditori di hot dog. Un frontale con un ambulanza lo riempie di soddisfazione. Suo padre scarta con perizia nel traffico. Giulio dà gas al gigante e lo manda in sbandata controllata. Cinquemila punti, la polizia alle calcagna, e alla scuola manca un solo incrocio. Sa che non può farcela. La ragazza bionda con le trecce si butta a pesce per non essere investita. Suo padre sbraita contro la mamma di Alice e parcheggia di traverso bloccando il traffico. Stacca il cavetto e si catapulta verso il portone. Sfida la gravità su per le scale e quando si volta per salutare suo padre vede la sua coda argentata sparire dietro l'angolo.
Gianni spenge la televisione e si sdraia sul letto. Anche ad occhi chiusi le immagini del videogame sfilano nella sua testa. La retina continua a scaricare segnali nel nervo ottico ricomponendo lo scenario di Accoppalitutti. Non ce l'ha fatta. Il record è inviolato. Ha i muscoli delle gambe contratti, il collo intorpidito. Apre gli occhi e fissa il soffitto. La greca colorata che sua madre aveva tracciato a mano. Chi ha fatto quel disegno mamma? Io. Quando l'hai fatto? Prima. Prima di che? Prima che tu nascessi. Lui c'era? No, non eravate nati nessuno dei due. Il babbo c'era? Certo, sicuro che lui c'era. Ti ha aiutato? No. Allora non c'era. C'era, ma non mi ha aiutato. Guarda la decorazione. E' bella. Si sente meglio. La carezza geometrica gli calma il battito. Scende dal letto e si piazza al computer. Digita la password segreta, che è uno dei segreti che non conosce, e si aggancia al sito della Elettrodream. Clicca su l'icona di Accoppalitutti e poi su “vostre domande più fatte”.
Perché la Polizia corre in automobile non rompevole? Zio Pedro dice che i poliziotti si alterano prima di correre dietro. (Clara, Santa Monica, L.A.)
Mio padre è morto l'ultimo mese. Vendeva giornali. Perché nel colpire le edicole i giornali non volano. Che destinazione finale per gli edicolanti? Ho rallentato l'immagini al più possibile ma la figura dissolve all'impatto. (Andrea, Lugano)
Salve. Ho subito bevuto due dalla bottiglia. Mia madre la occulta sotto quando fa i piatti.
Perché l'ambulanza non prende il fuoco nello scontro di fronte? (Barney, Quebec)
Immagino che il semaforo vicino a scuola è sempre guasto. Il comune non ha più coperta monetaria? (Xavier, Madrid)
Le zebre attraversanti sono rimovibili? Mio fratello ha dei tatuaggi. Mi dice che non può toglierli. Io non li farò. Cambio la mia mente troppo spesso. (Eliot, Belfast)
E' nella vostra possibilità incrementare il motore? (Mario, Roma)
State voi andando verso Accoppalitutti 2? State voi andando nell'immettere un più grande realtà? (Sonia, Berlino)
Gli autisti delle autolettighe hanno partecipato un corso per l'abilitazione alla guida? (Vladimir, San Pietroburgo
I bambini laterali alle strade non disciplinano le loro azioni. Si potrebbero mettere nella loro funzione dei piccioni? (Pablo, Valenza)
Se corro lungo e prendo sotto gli spacciatori perché mi viene condotto a zero il punteggio?
(Steve, Edimburgo)
Il risultato potrebbe essere legato al successo di vita? I giocatori di bocce valgono meno dei Pony. I Pony meno dei Vigili Cittadini.....Più vecchie avanti e meno punti rappresentano. Un super bonus se schiacci il sindaco? (Primo, Treviso)
Geniali creatori di Accoppalitutti, la presente per sottoporvi una mia idea. Si potrebbe dare il volto della preside Scano alla ragazza bionda con le trecce che tento sempre di tirare sotto l'autobus ma che si getta sempre di lato all'ultimo istante? (Giulio)
Sarebbe possibile arrotarla davvero? (Giulio di prima)
Giulio si strofina le mani. Con metodo. Le nocche gli sanguinano. Lascia che il sangue sgoccioli sul lavandino bianco. Puzza di disinfettante. Lo guarda scivolare verso il buco. Prende una salvietta bianca e si asciuga. Pulisce il lavandino. Fa una palla di carta dura e la infila giù per il tubo, in fondo. Apre il rubinetto. Alza gli occhi. Non ci sono specchi dove guardarsi. Si volta ed esce dal bagno. Il corridoio è deserto. Una porta sbatte dietro di lui. Si volta ma non c'è nessuno.
Gianni apre la porta senza respirare. Si affaccia sul pianerottolo. Guarda in alto, verso il lucernario. Le figure slavate sul vetro tentano di fermarlo. Le tarantole ticchettano sulla lastra sudicia di piume e ragni. Il pavimento è freddo e di marmo, lo attraversa. Nella camera stretta vede il suo mento che segue il ritmo del suo respiro. Si avvicina alla sua faccia, nella penombra. Quanti punti vale? Disteso, incapace di girare le foglie verso il sole. Gli sfiora la mano con la sua. La pelle secca che gratta sotto le dita. All'improvviso il nonno gli afferra la mano.
-Che ore sono?
Non risponde. Vede la sua faccia tagliata in un buffo sorriso. Dove vai quando dormi? Chissà se sogni. Sente il respiro roco sibilare tra i denti. E' stato i suoi occhi. Non è facile fare a meno di lui.
Tira, il cannello è sotto. Il pesce ha abboccato. Rivede la trota volare verso di loro. La guarda saltellare sulla terra secca, gli stessi occhi smarriti in debito di ossigeno, mentre annega nell'aria.
E' stato i suoi occhi.
Giulio bussa alla porta. Nessuno risponde. Bussa ancora. Entra. La maestra gli volge le spalle. Vede che è al telefono. La testa troppo grossa sul corpo esile. Un vestito a fiori dai colori tenui, il vaso dalla parte sbagliata. Cerca di ruotare gli occhi. Si svita intorno al suo sguardo. L'immagine si inclina di novanta gradi e lo zaino gli scivola dalle spalle. Sente il rumore delle matite che si spezzano. La loro anima che si rompe. Si infila dentro il banco. La sua mano infila dentro la zaino. Sente il calcio della pistola nel palmo. Fredda come la neve. Calda come il fuoco. La stringe con tutte le sue forze. La tiene in mano senza tirarla fuori Guarda i suoi compagni, pensa alle loro facce disgustate.
giovedì 17 dicembre 2009
giovedì 10 dicembre 2009
commiato
Percepì all'inizio un brusio, l'uscire di un animale selvatico dalla tana. Una solco improvviso nella sua mente bianca, resettata dal sonno notturno. Lieve e irregolare sulla superficie densa, come tracciato da un ragno. Il sogno soffocava silenzioso dietro i suoi occhi. La piccola imbarcazione cercava di restare a galla. La spuma bianca la avvolgeva ancora, ma senza odio. Senza la determinazione che è propria dell'odio e che si rende spesso necessaria per portare a compimento gli eventi. Si accese una sigaretta, anche se era troppo presto per fumare. Vide la Cocchina con l'albero tagliato a un metro dal ponte. Entrava nel porto di Calvì dopo la tempesta. Una mano sul timone e l'altra stretta alla sua, calda. Poi, in albergo, avevano fatto all'amore, e si era chiesto se si sarebbe mai più sentito vivo a quel modo. Aspirò il fumo e si ricordò come bruciava in gola. La sua mano scivolò sulla faccia sudata. Tossì come un drago. Ci sono parole per definire ciò che non esiste. Anche lui non esiste. Non più. Non è il cancro, anche se sta pasteggiando con il suo corpo. No. Non sente più nulla. Niente che lo tenga in vita. Dopo lunga malattia. Non c'è niente di più appropriato. Aspirò ancora. Il mozzicone gli bruciò fra le dita gialle. Schiacciò la finta sigaretta sul lenzuolo aggiungendo una nuova cicatrice al tessuto indifeso. Aprì a caso il diario delle parole non dette.
12 Aprile
“Guarda come è buffa quella nuvola! Sembra un cammello rovesciato sul dorso.....e un topo, un grosso topo con la coda che insegue un gatto”. Ricordò il giorno che l'aveva pensato e le parole non gli erano venute fuori. Aveva guardato il cielo e poi si era voltato verso di lei. Aveva aperto la bocca per cominciare il discorso, e poi si era girato dall'altra parte. Lei indossava un vestito stretto sui fianchi e si era accarezzata il volto con il dorso della mano. Lui aveva sentito gli occhi luccicare e gli aveva chiusi stretti dentro la testa. Fece frusciare le pagine e ascoltò il rumore che facevano. Poi lo aprì ancora.
12 Settembre
“Il vento ha portato le stelle ed il profumo del mare. Il ricordo di quello che non ho conosciuto. Si può avere nostalgia dei fantasmi?”
Al tavolo del ristorante, scorrendo la carta dei vini francesi troppo costosi, mentre parlavi del film. Un cameriere impettito ci scrutava curioso e tendeva l'orecchio. Alla mia ordinazione? Al mio pessimo francese? Alle parole che si dovevano dire e che erano comunque presenti, deluse, sopra le nostre teste?
10 Febbraio
“Vorrei cambiare buona parte della mia vita. Indossare un costume più semplice. Con meno strati da tenere insieme”. Alla festa di carnevale della scuola di Anna. Soffocato dai saluti di circostanza agli altri genitori.
“Vieni, andiamo a casa, voglio fare l'amore con te”. Ancora alla festa, combinando una partita a bridge per la sera dopo e ti eri sporcata il vestito a fiori di aranciata svanita.
L'infermiera entrò decisa senza bussare. In una mano la tazza del caffè. L'altra a fendere l'aria zeppa di un fumo inesistente. Senza guardarlo appoggiò la tazza sulla scrivania, si voltò e attraversò la stanza in direzione della finestra. Il suo sguardo le accarezzò il fondo schiena. Era duro e liscio, lo sapeva. Dio se lo sapeva. Issò il rotolante e spalancò la finestra. La camera fu invasa dalla luce.
Abbracciò il diario stretto sotto il lenzuolo, serrandolo al petto, tanto che, più tardi, fu assai difficile allontanarlo dal suo cuore.
Staccò il ferro e sentì la voce dell'infermiera che la chiamava. Seppe subito che era morto. Rimise la spina nella presa della corrente, come se quel semplice gesto potesse cambiare l'ordine delle cose. Corse giù per le scale. Si vide bambina, nascondersi sotto le mucche quando gli americani bombardavano il ponte in fondo alla valle e lei non aveva fatto in tempo a nascondersi insieme agli altri, il quel rifugio buio che non le piaceva. Erano calde, le mucche, con quegli occhi grandi che dicevano: stai tranquilla, qui non può succederti niente. Poi più grande, a sciare dopo che aveva avuto il tifo e non si era mossa dal letto per quaranta giorni. Suo padre che le faceva una foto e lei in posa, bardata in quell'improbabile tenuta da sci, con i pantaloni che scomparivano negli scarponi di cuoio e la testa fasciata di capelli lunghi. Insieme a lui che le era comparso accanto, all'improvviso. E la foto era venuta anche bene, con loro che sorridevano senza guardarsi, come se si fossero conosciuti da sempre. Corse più forte. Erano in Lambretta, sotto la pioggia, lei con le gambe tutte e due dalla stessa parte nella gonna spessa e lui che faceva il matto, solo per farsi stringere più forte. Adesso facevano all'amore, a Genova, in quella camera enorme davanti al mare, la sera che si erano detti di si. Poi lo vide, bianco, che le diceva di spingere e lei avrebbe voluto morderlo, e aveva chiesto una sedia all'ostetrica per farlo sedere mentre lui le stringeva la mano forte, anche se lei non voleva scappare. Riprese fiato sul pianerottolo. Lo sentì ridere in quel prato, in campagna, le bambine a rincorrersi fra le spighe più alte di loro. C'era il sole e i vestiti davano così noia alla loro pelle che si cercava. Entrò nella stanza, guardò la finestra spalancata e immaginò che fosse passato di là.
12 Aprile
“Guarda come è buffa quella nuvola! Sembra un cammello rovesciato sul dorso.....e un topo, un grosso topo con la coda che insegue un gatto”. Ricordò il giorno che l'aveva pensato e le parole non gli erano venute fuori. Aveva guardato il cielo e poi si era voltato verso di lei. Aveva aperto la bocca per cominciare il discorso, e poi si era girato dall'altra parte. Lei indossava un vestito stretto sui fianchi e si era accarezzata il volto con il dorso della mano. Lui aveva sentito gli occhi luccicare e gli aveva chiusi stretti dentro la testa. Fece frusciare le pagine e ascoltò il rumore che facevano. Poi lo aprì ancora.
12 Settembre
“Il vento ha portato le stelle ed il profumo del mare. Il ricordo di quello che non ho conosciuto. Si può avere nostalgia dei fantasmi?”
Al tavolo del ristorante, scorrendo la carta dei vini francesi troppo costosi, mentre parlavi del film. Un cameriere impettito ci scrutava curioso e tendeva l'orecchio. Alla mia ordinazione? Al mio pessimo francese? Alle parole che si dovevano dire e che erano comunque presenti, deluse, sopra le nostre teste?
10 Febbraio
“Vorrei cambiare buona parte della mia vita. Indossare un costume più semplice. Con meno strati da tenere insieme”. Alla festa di carnevale della scuola di Anna. Soffocato dai saluti di circostanza agli altri genitori.
“Vieni, andiamo a casa, voglio fare l'amore con te”. Ancora alla festa, combinando una partita a bridge per la sera dopo e ti eri sporcata il vestito a fiori di aranciata svanita.
L'infermiera entrò decisa senza bussare. In una mano la tazza del caffè. L'altra a fendere l'aria zeppa di un fumo inesistente. Senza guardarlo appoggiò la tazza sulla scrivania, si voltò e attraversò la stanza in direzione della finestra. Il suo sguardo le accarezzò il fondo schiena. Era duro e liscio, lo sapeva. Dio se lo sapeva. Issò il rotolante e spalancò la finestra. La camera fu invasa dalla luce.
Abbracciò il diario stretto sotto il lenzuolo, serrandolo al petto, tanto che, più tardi, fu assai difficile allontanarlo dal suo cuore.
Staccò il ferro e sentì la voce dell'infermiera che la chiamava. Seppe subito che era morto. Rimise la spina nella presa della corrente, come se quel semplice gesto potesse cambiare l'ordine delle cose. Corse giù per le scale. Si vide bambina, nascondersi sotto le mucche quando gli americani bombardavano il ponte in fondo alla valle e lei non aveva fatto in tempo a nascondersi insieme agli altri, il quel rifugio buio che non le piaceva. Erano calde, le mucche, con quegli occhi grandi che dicevano: stai tranquilla, qui non può succederti niente. Poi più grande, a sciare dopo che aveva avuto il tifo e non si era mossa dal letto per quaranta giorni. Suo padre che le faceva una foto e lei in posa, bardata in quell'improbabile tenuta da sci, con i pantaloni che scomparivano negli scarponi di cuoio e la testa fasciata di capelli lunghi. Insieme a lui che le era comparso accanto, all'improvviso. E la foto era venuta anche bene, con loro che sorridevano senza guardarsi, come se si fossero conosciuti da sempre. Corse più forte. Erano in Lambretta, sotto la pioggia, lei con le gambe tutte e due dalla stessa parte nella gonna spessa e lui che faceva il matto, solo per farsi stringere più forte. Adesso facevano all'amore, a Genova, in quella camera enorme davanti al mare, la sera che si erano detti di si. Poi lo vide, bianco, che le diceva di spingere e lei avrebbe voluto morderlo, e aveva chiesto una sedia all'ostetrica per farlo sedere mentre lui le stringeva la mano forte, anche se lei non voleva scappare. Riprese fiato sul pianerottolo. Lo sentì ridere in quel prato, in campagna, le bambine a rincorrersi fra le spighe più alte di loro. C'era il sole e i vestiti davano così noia alla loro pelle che si cercava. Entrò nella stanza, guardò la finestra spalancata e immaginò che fosse passato di là.
mercoledì 9 dicembre 2009
carica completata
Apro gli occhi. Non so che ore sono. Non c'è il buio che mi sarei aspettato.
Il led verde fisso getta una rete di ombre sul soffitto. Il giorno comincia geometrico.
Tento di muovermi ma non ci riesco. Riesco solo a spostare lo sguardo sulla ragnatela verde.
Mi chiedo dove sia il ragno.
Il led verde fisso getta una rete di ombre sul soffitto. Il giorno comincia geometrico.
Tento di muovermi ma non ci riesco. Riesco solo a spostare lo sguardo sulla ragnatela verde.
Mi chiedo dove sia il ragno.
domenica 6 dicembre 2009
panta rei
Mi faccio la barba.
La taglio a quello là, dipinto nello specchio.
Sto bene attento a non tagliarlo e so che non posso andare assolutamente contro pelo, perché ha la pelle che si sgrana.
Giovanni si affaccia dietro le spalle.
Chiede se può fare lui.
Lo lascio fare, ma ho come l'impressione che l'uomo dentro lo specchio impallidisca.
Mi chiede quando gli spunteranno quei peli.
Mi guarda perplesso, con il rasoio sospeso fra la mia faccia e la sua.
Sento che siamo un fiume.
La taglio a quello là, dipinto nello specchio.
Sto bene attento a non tagliarlo e so che non posso andare assolutamente contro pelo, perché ha la pelle che si sgrana.
Giovanni si affaccia dietro le spalle.
Chiede se può fare lui.
Lo lascio fare, ma ho come l'impressione che l'uomo dentro lo specchio impallidisca.
Mi chiede quando gli spunteranno quei peli.
Mi guarda perplesso, con il rasoio sospeso fra la mia faccia e la sua.
Sento che siamo un fiume.
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