giovedì 31 gennaio 2019

Visione periferica

Prima correvo davanti alle vetrine dei negozi. Senza voltare la testa cercavo di capire il colore di un piumino o se si trattava di scarpe con i lacci o mocassini. All'inizio sbattevo nei passanti ed alcuni mi inseguivano con intenzioni poco amichevoli. Poi, quando l'allenamento ha cominciato a funzionare, tornavo indietro per vedere se mi ero sbagliato. Perché di solito quello che è importante non ce l'hai sotto il naso, lo percepisci con la visione periferica. Sono ombre, fruscii che si manifestano di soppiatto. Quando ti stai per spengere e sei sospeso fra la veglia ed il sonno, quando la tua mente lavora su altro e il corpo percepisce da solo, libero dal suo controllore. Se stai attento a non sbattere nei passanti la coda dell'occho percepisce i dettagli nascosti, i codici interni delle cose. Le lacrime di luce  che mai vedresti fissandole direttamente. Allora la tua notte si riempe di stelle e si aprono nuove combinazioni.

Adesso sono  davanti alla banca. Il motore della Multipla borbotta sotto le note dell'assolo di Lester Young in Mean To Me. Le dita tamburellano sul volante. Il piede vivo sull'accelleratore. Gli occhi fissi sull'ingresso mentre la mia visione periferica controlla la strada.
Qualsiasi movimento è un campanello d'allarme. La velocità è sinonimo di pericolo.
Enzo se ne è andato un mese fa e non so dove sia. Non l'ho cercato. Chiuso, finito.
Dieci anni di vita spariti in un mattino freddo, con la pioggia a rimbalzarti dentro. Stavamo insieme e ci prendevamo cura l'uno dell'altro e questo è molto di più di quello che capita ad un sacco di coppie.
Ma non scopavamo più. E prima o poi il corpo ti chiede il conto.

Dopo corro sulla tangenziale. Di nuovo la pioggia dentro e fuori.
Non so quanti soldi ci siano. Non mi interessa, non lo faccio per quello.
La strada mi viente incontro veloce ma quello che mi lascio dietro non l'abbandono davvero.
Dio sa quanto vorrei.

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