mercoledì 6 gennaio 2010

girasole (migranti 7)

Giovanni guardò la televisione.
-…….sbarchi si susseguono su questo tratto di costa da una…..
Li vide. Stipati come sardine, occhi troppo grandi nelle teste scavate. Nere. Lo sguardo opaco, percorso solo da qualche sorriso. Come se guardassero senza vedere, dopo giorni e giorni di mare aperto e l’acqua avesse sepolto i pensieri. E ciò nonostante qualcosa pulsasse sotto il freddo e la fame.
-……non si conosce esattamente il porto di…….le loro condizioni appaiono…..
Beccheggiavano silenziosi, circondati dalle motovedette lucide come serpenti, fredde ed efficienti. Sporchi, con le barbe impastate di sale e moccico, e comunque fieri nei loro colori gettati sulle spalle magre. Nascosti l’uno nell’altro per darsi un po’ di calore. Ondeggiavano come un unico essere mentre le onde si infilavano ritmiche sotto la chiglia scrostata.
-………tutto lascia supporre che ……..e si siano allontanati prima…..
Cominciò a contare. Non si vedeva neppure la barca da quanti erano. Brulicavano ovunque in piedi l’uno accanto all’altro, i bambini più piccoli avvinghiati alle braccia dure delle donne. Gli uomini disposti attorno, come se volessero proteggerli.
Pensò ad un girasole. Un girasole di carne sbocciato in mezzo al mare. Chi erano? Da dove venivano?
-……la nostra marina è intervenuta il più……
Poi l’occhio della televisione si posò un po’ più avanti, alle loro spalle. C’era un’altra barca sotto il pelo dell’acqua, appena oltre la sottile linea che separa la normalità dall’orrore. Sdraiata su un fianco, come se volesse dormire un po’ e si fosse tirata una coperta di mare addosso, per ripararsi dal freddo. Con il suo assurdo pigiama a strisce bianche azzurre e quella marca sconosciuta stampata sul corpo: F-147. Si inabissava lentamente mentre gonfi chicchi di girasole delle più differenti misure e colori le facevano da ghirlanda.

Luisa sentì le sue urla e si svegliò. Era infagottata in una coperta di lana massiccia che le grattava la faccia. C'era una sedia e si tirò su a sedere. Ansimava da far paura ma non aveva più freddo. Sbirciò sotto il tessuto ruvido e scoprì di essere vestita. Colorati indumenti profumati la riscaldavano e non se ne sorprese. La spiaggia era vuota, solo tracce confuse sulla sabbia intorno a lei. Chiuse gli occhi ripensò al sogno che la accompagnava da settimane.
All’alba, su una spiaggia proprio come quella, una donna alta e nera, magra e sensuale come se il suo corpo fosse stato la spina dorsale della notte appena trascorsa, usciva dall’acqua e si sedeva al suo fianco. Era perfettamente asciutta e la fissava senza parlare con occhi fatti di stelle. Un’altra, con un bambino legato in vita ed afferrato al suo sorriso, sbucava dalla sabbia accanto a lei. Cantava. Lei non capiva in quale lingua ma capiva le parole. Amore, vita, speranza: lacrime di un dio antico che modellavano il mondo. Era una canzone che faceva bene quando scendeva dentro di lei e la riempiva. Il bambino si liberava e in un attimo era in braccio a suo padre che proprio in quel momento usciva dal mare. Era uno dei ragazzi che l’avevano salvata, lo riconobbe subito e le sembrò normale.
L’altro, più giovane, arrivava alle sue spalle tenendo per mano una vecchia regina che camminava con il bastone. Aveva gambe lunghissime e sottili come quelle di una cicogna e la pelle fresca come un bacio a lungo desiderato e mai avuto, capace di far battere il cuore. Le sue bellissime figlie, ornate di gioielli lisci e lucenti, la seguivano da vicino portando ceste ripiene di cibo speziato. E poi altri, a decine, di tutte le età, con la pelle color dell’ebano, sbucavano dall’acqua senza far rumore. Tutti indossavano vesti sgargianti, come quelle che lei indossava adesso, che mettevano allegria a guardarle. La vecchia aveva cominciato a parlare, all’improvviso.
- I tuoi colori sono morti. Chi li ha uccisi?
- Non sai più ridere, disse l’uomo che teneva in braccio suo figlio.
- Non sai più piangere, continuò il bambino.
Chi l’avesse osservati dall’alto avrebbe visto soltanto un bellissimo girasole.

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