Mi capita di incrociarli spesso. Il più delle volte ne farei volentieri a meno ma non posso sottrarmi.
E' una responsabilità che ad un certo punto ti casca addosso. Fino a poco prima dormivi sonni tranquilli e ogni giorno era solo una manciata di ore da mettere in fila, senza spingersi troppo lontano. Senza che il tempo avesse una dimensione così definita. Prima e dopo erano concetti labili, di cui valeva poco la pena occuparsi.
Quando li osservo, non troppo da vicino perché altrimenti scappano, vedo che hanno sguardi freddi. Credono di capire come funziona e non hanno bisogno di niente e nessuno.
Spesso, io credo, è quasi una forma di protezione, un bozzolo che si sono costruiti con fatica intorno. Adesso si illudono di navigare fra le intemperie. Di aver vinto quella fragilità che io immagino.
Ma magari mi sbaglio, non lo sono affatto, fragili non lo sono mai stati.
Sono io invece che rischio di andare in mille pezzi. Ogni istante.
Del resto è il modo in cui ho scelto di vivere.
Avrei fatto volentieri a meno anche di questo. Ma non posso. E' una questione di coerenza.
Da quando ho capito che sull'autobus non c'erano le maniglie da afferrare per non ruzzolare in avanti o indietro a secondo della volontà del conducente. Adesso non sono capace di raccontare a quegli occhi storie diverse. Camminiamo tutti su un filo e sotto c'è spalancato il vuoto. E' una sensazione meravigliosa e terribile, che passa dal dire: ok, va bene, ho dei limiti e mi spaccherò la testa, ma va bene così, in fondo è il sale della vita. E questo costa. Quanto costa fare a meno di un abbraccio che protegga da tutto e da tutti? Quanto costa lasciare andare via quello cui più tieni al mondo?
Poi guardo altrove, ma so sempre dove sono quegli occhi. E so per certo, e lo capiranno anche loro, che la cosa più difficile è tornare da dove non sei mai stato.