Quando esco di chiesa ho fame e devo passare a prendere il pane. La commessa me lo lascia sulla finestra del forno. Adesso fa più caldo ed il vento si è quietato. Tengo il cappotto piegato sul braccio e il braccio rigido davanti a me. Come se aspettassi un attacco e fossi pronto a concedere al mio avversario quel bersaglio. Consapevole della necessità di mettermi in una posizione di forza. Questo è qualcosa che ho imparato solo con il tempo. E con la pratica. Il do ut des che governa la mia vita è lo stesso dei miei antenati latini. Nessuna armoniosa spiegazione del mondo. Nessuna filosofia che abbozzi un tentativo di risposta. Non ho fiducia nel ragionamento. Nella mia capacità raziocinante. Le regole sono tali perché funzionano. Punto. Se le regole fossero violate perderebbero la loro natura e cesserebbero di essere regole. Anche se esistono delle eccezioni. La qual cosa mi fa sempre sorridere. Tutto è un meraviglioso susseguirsi di eccezioni. Un escamotage continuo che permette una via di fuga. La possibilità di conformarsi al precetto. Qualsiasi cosa accada. Mi lasciano il pane sulla finestra del forno. Passo a pagare ogni primo martedì del mese.
E' lo stesso forno dove venivo da bambino e la commessa annota le mie spese sullo stesso quaderno unto. Metto tutto quel pane in fila davanti ai miei occhi e cerco di calcolare quanto pesi. Quanta fatica è costato impastarlo. Quanta legna hanno consumato per cuocerlo. Infilo la mano tra le sbarre per afferrare il sacchetto di carta. Devo girarlo su se stesso per trovare il modo di farlo uscire. Sono abitudinario. Prendo sempre una bozza da un chilo. Ma la sua forma non è mai uguale. La commessa non mi è simpatica e immagino che sia un sentire condiviso. E' anche vero che il pane mi avanza sempre. Ma un taglio diverso non avrebbe quel sapore. Infilo anche l'altra mano dietro le sbarre. Sto attento a non macchiarmi le maniche dell'abito. Penso che visto da dietro devo sembrare una mosca nella ragnatela. Il mio naso si infila in giorni passati. Mi sveglio con l'odore del pane. So che è estate e la scuola è finita da qualche giorno. I rintocchi delle campane rimbalzano sulle persiane. Sento che mi sto perdendo e allora mi costringo a fissare l'interno del negozio. Conto i pacchi di pasta allineati sul bancone. Non vorrei ma sono costretto a farlo. Lo spezzo senza toglierlo dal sacchetto. Ha fatto quel rumore che conosco. Quello da cui si riconosce il pane buono. Adesso ci passa. Adesso ha assunto la sua forma. Sarà per quello. O forse perché non so come fare a tenere il sacchetto che mi rinfilo il cappotto.